Torniamo ai libri in italiano e dedicati all’arte della traduzione più che alla parte più pratica dell’attività lavorativa.
Oggi vi presento In altre parole di Jhumpa Lahiri. L’autrice non ha bisogno di presentazioni ma provo a farle onore in breve. È una scrittrice e una traduttrice famosissima e pluripremiata; tra i riconoscimenti più prestigiosi che ha ricevuto c’è senza dubbio il Pulitzer e per tanti anni ha scritto in inglese.
In altre parole è il suo primo libro scritto in italiano e racconta proprio il suo rapporto con la nostra lingua, da quando è iniziato a quando è stato pubblicato il libro. Un dato curioso ma che molti traduttori condivideranno è che, quando il libro è stato tradotto in inglese, l’autrice non ha voluto tradursi. La versione inglese, infatti, è di Ann Goldstein.
Il libro in breve
L’autrice ci racconta la sua relazione con l’italiano con un insieme di metafore e di aneddoti in cui molti di noi che hanno studiato varie lingue si riconosceranno. La definisco relazione perché è una delle idee che mi trasmette il libro, ma in realtà è un insieme di relazioni che si intrecciano: quella con l’inglese, la sua lingua dominante; quella con il bengalese, la lingua dei suoi genitori; quella con l’italiano, la lingua di cui si innamora e che impara perché lo decide e non per via di un’imposizione esterna; ma c’è anche la relazione che queste tre lingue hanno tra loro, una relazione in cui una ruba spazio all’altra senza mai prevalere completamente.
Tra le tante immagini che l’autrice richiama per descrivere la sua relazione con le lingue ci sono quella del dio romano Giano e quella di Eco e Narciso. È un tema che ha trattato anche in una conferenza tenuta quest’anno per la British Library e che potete trovare su YouTube. È una grande fonte d’ispirazione e una buona introduzione al libro se vi va di guardarla.
In un certo senso è un libro di viaggio, perché ogni fase dell’apprendimento è legato a una località particolare, a un viaggio lungo o a una visita breve. Ma è anche un viaggio spirituale che inizia dal primo contatto con la lingua italiana e finisce con la padronanza della lingua, dimostrata dal libro.
Chi come me è nata e cresciuta in un ambiente bilingue, in cui una delle due lingue era quella della famiglia o della comunità ma non veniva imparata a scuola, capirà immediatamente i sentimenti contrastanti che l’autrice sente nei confronti dell’inglese e del bengalese.
Cosa ne penso
È un libro positivo e toccante, forse perché in molti sensi mi sento identificata anche se la mia situazione è molto diversa. È una lettura che consiglio non solo a chi si interessa alle lingue e alla traduzione, ma in generale a chiunque, perché offre un’immagine molto chiara di quanto sia difficile confrontarsi con un’altra lingua, un’altra cultura, un altro Paese, anche quando si parte da una situazione di favore, e di quanto costi farsi accettare e sentirsi accettate.
L’avete letto? Lasciatemi un commento!